Parlare oggi di famiglia include anche fare il punto sullo status sociale di un componente spesso presente nelle strutture familiari, il minore.
Il Novecento ha visto l'emergere la questione femminile e la questione dell'infanzia. Vediamo innanzitutto il significato di questa parola, infatti sappiamo che il nostro linguaggio veicola delle strutture di pensiero e degli assunti che sono comuni alla comunità dei parlanti la stessa lingua.
L'origine della parola infanzia si collega a fari, un verbo che esisteva nel latino più arcaico con il valore di parlare in maniera compiuta con rigore logico, coerenza e solennità. La stessa radice si ritrova anche nel greco antico con simile significato, da cui deriva il termine italiano profeta. In latino il prefisso in indica la negazione, quindi in-fans, significa muto. In particolare il termine infans esprime il non-fari e non indica l'incapacità fisica di parlare bensì l'incapacità di esprimersi in modo logico e coerente.
Quello che intendiamo con infanzia oggi è il risultato di un lungo percorso dello sviluppo sociale, culturale e relazionale dell'uomo. Per alcuni decenni c'è stato un vivo confronto tra le diverse discipline - scienze storiche, scienze sociali, scienze psicologiche, scienze statistiche - che a vario titolo si occupano di infanzia. Si è poi giunti ad integrare i vari apporti in maniera sufficiente a tracciare alcuni punti fermi.
Il riconoscimento all'infanzia dello status di categoria sociale, come componente permanente, strutturale e specifica della società, è recentissima, parliamo degli ultimi venti anni (indicato su scala mondiale come New social chilhhood studies) per superare la generale invisibilità dei bambini nel contesto sociale, da cui il ritardo storico e statistico oltre alle lacune sia sociologiche che psicologiche. Questi studi intendono l'infanzia come una condizione permanente all'interno della società di cui è un gruppo a sé stante in relazione con altri gruppi sociali. Non si tratta più di adulti in formazione, incompleti ma di attori sociali titolari di diritti, quindi una nuova prospettiva giuridica.
Circa venti anni fa si è realizzata, infatti, una rivoluzione culturale che ha riguardato i diritti dei bambini: il 20 novembre 1989 è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la “Convention on the Rights of the Child (CRC)”, testo giuridico universalmente riconosciuto, diventato la fonte di ogni ambito di riflessione e azione nei confronti dei bambini. In Italia è stata recepita nel 1991 con la Legge 176.
La “Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” è il trattato sui diritti umani maggiormente ratificato al mondo, praticamente da tutti gli Stati meno due: Stati Uniti e Somalia.
La CRC ruota intorno a chiari principi fondamentali e trasversali:
Emanuela Boille
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Ultima modifica: 14/03/2016
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